Indice degli argomenti
- 1 Intelligenza Artificiale, forte e debole
- 2 Cos’è l’intelligenza?
- 3 Un po’ di storia
- 4 L’intelligenza Artificiale: forte e debole.
- 5 L’Intelligenza artificiale debole
- 6 L’Intelligenza Artificiale forte
- 7 Intelligenza Artificiale forte e debole: il dibattito
- 8 L’Intelligenza Artificiale oggi
- 9 La coscienza del robot
- 10 I limiti dell’Intelligenza Artificiale forte
Intelligenza Artificiale, forte e debole
L’Intelligenza Artificiale, altrimenti denominata AI, è una disciplina, sia scientifica che ingegneristica, che si occupa di realizzare macchine pensanti, ovvero macchine e programmi che possano risolvere, in modo del tutto autonomo, vari problemi con il ragionamento. Tale ragionamento assumerà le vesti della riflessione di tipo logico, intelligente e soprattutto razionale. L’Intelligenza Artificiale parte da una domanda fondamentale: le macchine possono pensare? La risposta a tale domanda non può prescindere dalla definizione stessa di intelligenza.
Cos’è l’intelligenza?
L’intelligenza è la capacità che prevede l’acquisizione di nuove conoscenze che permettono di elaborare i dati empirici (ovvero quei dati che provengono dall’esperienza), di organizzarli per poi risolvere in maniera pronta ed efficace una serie di problemi diversi. L’intelligenza consente all’uomo di adattarsi a situazioni ed eventi sempre nuovi, è il mezzo per capire la realtà e anche il linguaggio. Ma l’intelligenza è puro e semplice problem solving oppure è la somma di altri aspetti che comprendono l’abilità linguistica, pratica, emozionale? Questi sono gli interrogativi che hanno affascinato gli studiosi dell’Intelligenza Artificiale sin dagli albori.
Un po’ di storia
La nascita dei primi calcolatori segna l’inizio dell’interesse verso questo argomento. Nel 1623, Sickhart elaborò una macchina in grado di fare, con l’aiuto dell’uomo, calcoli a sei cifre. Da questo momento in poi, l’interesse degli studiosi, a partire da Blaise Pascal fino a Shannon nel 1937, ruotò intorno alla possibilità di creare macchine in grado di poter effettuare operazioni quali la somma, la sottrazione e addirittura la moltiplicazione, utilizzando il riporto automatico.
Le basi del concetto di Intelligenza Artificiale nascono nel 1936, anno in cui il padre dell’informatica moderna, Alan Turing, formulò l’ipotesi di una macchina in grado di svolgere qualsiasi tipo di calcolo. Tale macchina, detta macchina di Turing, rappresenta la genesi del pc moderno. Lo scienziato inglese andò oltre il “semplice” concetto di macchina, arrivando a porsi un interrogativo fondamentale: esiste la facoltà di pensiero nelle macchine? Lo studioso si interrogò a lungo circa il significato di macchina pensante, arrivando a formulare il teorema secondo il quale una macchina pensante riesce a fornire una sequenza logica, una concatenazione efficace ed empirica delle idee, arrivando addirittura ad esprimerle. In “Macchine calcolatrici e coscienza” Turing introdusse un famoso test, passato alla storia come test di Turing, che consisteva in un esperimento per riconoscere la presenza di una macchina intelligente. Il test è molto semplice ed è tuttora il metodo più efficace per capire se siamo in presenza di un modello pensante. A rigor di verità, occorre affermare che nessuna macchina finora ha mai superato il test. Non fu però Turing a coniare il termine Intelligenza Artificiale ma un giovane e sconosciuto professore di matematica, John McCarthy, nel 1956, durante uno storico seminario che ruotava incontro alla possibilità di far realizzare alle macchine imprese dove era necessaria l’intelligenza umana. Questo seminario si pose degli obiettivi da raggiungere in un arco temporale di massimo dieci anni:
- La dimostrazione dei teoremi matematici;
- Battere un campione di scacchi;
- Spiegare i comportamenti umani.
Sono passati quasi cinquanta anni e l’unico obiettivo raggiunto è stato quello della sconfitta del campione di scacchi Gasparov ad opera della macchina Deep Blue, costruita dall’IBM, nel 1996.
L’intelligenza Artificiale: forte e debole.
Cosa c’è alla base del concetto di Intelligenza Artificiale? Il desiderio dell’uomo di creare una connessione indissolubile tra automazione e ragionamento. I primissimi tentativi in merito si basavano sulla presenza di algoritmi matematici che via via si sono evoluti, diventando sempre più complessi e difficili. L’automazione, sempre più articolata, ha dato vita a due teorie fondamentali: l’Intelligenza Artificiale debole e l’Intelligenza Artificiale forte, così chiamate grazie allo studioso John Searle. Prima di esplorare il terreno complesso e affascinante di queste due teorie, occorre chiarire la base dalla quale partono ovvero la visione della mente umana come un programma. Supponiamo di fornire degli stimoli al cervello umano. Questi stimoli producono un ragionamento, e il ragionamento produce un determinato comportamento. Scopo dell’Intelligenza Artificiale è avere una macchina, un calcolatore che possa simulare il ragionamento umano. La distinzione tra AI forte e AI debole parte da una domanda fondamentale: la macchina potrà eguagliare e addirittura superare il ragionamento umano oppure non sarà mai equivalente a esso?
L’Intelligenza artificiale debole
L’Intelligenza Artificiale debole si fonda sul “come se” ovvero agisce e pensa come se avesse un cervello. La meta dell’AI debole non è quella di realizzare macchine che abbiano un’intelligenza umana, quanto invece sistemi che possano agire con successo in alcune funzioni complesse umane, come ad esempio la traduzione automatica di testi. Il software elaborato, in questo caso, agisce come se fosse un soggetto intelligente e non ha nessuna importanza che lo sia davvero. Searle affermò in “Menti, cervelli e programmi” che l’Intelligenza Artificiale debole consente di verificare le ipotesi in maniera estremamente precisa. Alla base di questa teoria c’è la possibilità di costruire una macchina che sia in grado di simulare il comportamento umano, senza mai né eguagliarlo né superarlo. In parole povere, in un ipotetico confronto tra uomo e macchina, la mente umana mantiene la sua supremazia. La macchina non è capace di pensare in maniera autonoma, svolge egregiamente il suo compito ma ha bisogno della presenza dell’uomo. Il suo compito è semplicemente quello di realizzare un’intelligenza “simulata”. L’AI debole nasce quando l’automazione primordiale non riesce a risolvere problemi sempre più complessi e si ha la necessità di nuovi sistemi di calcolo ed elaborazione. Un esempio su tutti: cosa succede quando la macchina deve elaborare dati da fonti errate o addirittura contraddittorie? In questo momento nascono i primi software semplici che aprono una visione diversa, offrono un metodo di analisi e calcolo da una nuova prospettiva. L’intelligenza Artificiale debole opera in questo modo: indaga su casi simili, li confronta, elabora una serie di soluzioni, scegliendo quella più razionale e congrua. Qui entra in gioco la simulazione del comportamento umano. L’AI debole raccoglie esperienza, così come fa la mente umana. Non ha la pretesa di definire i processi che crea come processi mentali. Verifica in maniera empirica ipotesi o svolge in modo efficiente il compito che le viene assegnato. Nell’AI debole non esiste la necessità di comprendere totalmente i processi cognitivi dell’uomo. Essa si occupa esclusivamente del famoso problem solving, ovvero la risoluzione di problemi.
L’Intelligenza Artificiale forte
Secondo la stessa definizione di Searle, nell’Intelligenza Artificiale forte, la macchina non è soltanto uno strumento. Se programmata in maniera opportuna, diventa essa stessa una mente, con una capacità cognitiva non distinguibile da quella umana. Un teoria forte, affascinante la cui genesi è facilmente rintracciabile nelle parole del filosofo Hobbes, quando affermava che l’intelligenza, ovvero la facoltà di ragionare, non è altro che un insieme di calcoli della mente umana. La tecnologia alla base dell’Intelligenza Artificiale forte è quella dei sistemi esperti, cioè una serie di programmi che vogliono riprodurre, attraverso una macchina, le prestazioni e le conoscenze delle persone esperte in un determinato campo. Il sistema esperto opera in 3 step distinti. Il primo riguarda la base di partenza, che consiste in regole e procedure di cui il sistema ha bisogno nel corso del suo operato. Il motore inferenziale è il secondo elemento e consiste nell’applicazione, in una determinata situazione, dei dati e delle nozioni. Infine, l’interfaccia utente ove si profila l’interazione tra la macchina e l’essere umano. È questo il cuore pulsante dell’AI forte. Se la conoscenza di un esperto in un campo può essere riversata in un calcolatore, tale macchina può sostituirsi con successo alla persona? L’Intelligenza Artificiale forte si è concentrata su alcuni punti, ritenuti fondamentali:
- la logica matematica che rappresenta l’intero scibile umano;
- il ragionamento e la dimostrazione automatica del problema;
- l’analisi del linguaggio, elemento fondamentale per rendere semplice la comprensione delle espressioni linguistiche umane da parte della macchina;
- la pianificazione, tramite gli algoritmi.
Fino alla fine degli anni ’80, gli studiosi hanno creduto fortemente nell’AI forte. Un esempio su tutti, i famosi robot di Isaac Asimov, lo scrittore geniale che ha consegnato ai posteri un’opera immane dove i protagonisti sono dei robot, che ragionano come e in maniera a volte superiore rispetto l’essere umano. I funzionalisti, ovvero gli studiosi che più hanno creduto in questa branca dell’Intelligenza Artificiale, sostengono quindi che è possibile creare una macchina artificiale che sia, in tutto e per tutto, uguale e superiore alla mente umana. E come si fa a stabilire se un sistema artificiale sia o meno intelligente? È questo il momento del famoso test di Turing. Se una macchina supera tale test, allora può scientificamente definirsi intelligente. Tale test è semplicissimo. Un uomo, chiuso in una stanza, pone delle domande, attraverso una tastiera remota, a un calcolatore. Se l’uomo non riesce a capire se dall’altra parte della stanza le risposte gli vengono fornite da un essere umano o una macchina, allora siamo in presenza di un calcolatore intelligente. Anche se nessuna macchina ha mai superato con successo tale test, i fervidi sostenitori dell’Intelligenza Artificiale forte affermano che è semplicemente una questione di tempo. È forse la teoria più affascinante e contemporaneamente quella che da un punto di vista filosofico e morale pone più interrogativi. Potrà mai una macchina produrre opere d’arte migliori di quelle umane o risolvere questioni filosofiche? Ai posteri l’ardua sentenza.
Intelligenza Artificiale forte e debole: il dibattito
Nel corso degli anni, le teorie sull’Intelligenza Artificiale hanno dato vita a un forte dibattito. La genesi delle diatribe parte da teorema fondamentale: se il cervello è una macchina, in linea teorica è possibile costruire una macchina che svolga in tutto e per tutto le funzioni del cervello. Ma cervello e mente umana sono la stessa cosa?
I sostenitori della concezione debole, come Dreyfus, affermarono un concetto semplicissimo: l’Intelligenza Artificiale non è una vera e propria intelligenza, come faceva pensare invece il test di Turing. Dreyfus, in particolare, contestò nel corso degli anni il concetto di AI forte. Il concetto dal quale si parte è completamente errato. Un calcolatore utilizza dati attraverso delle regole ben precise. Ma è capace quindi di cogliere solo alcuni aspetti della realtà, al contrario della mente che ragiona cogliendo i vari elementi nella loro totalità. Sarebbe ingiusto e completamente errato ricondurre la mente a tutta una serie di situazioni e credenze che non sono tutte oggettivabili. John Searle ideò un test, denominato “test della stanza cinese” da contrapporre al famoso test di Turing. Lo studioso dimostrò che una macchina, pur avendo superato con successo il primo test, non può essere definita intelligente. Questo perché il calcolatore ha svolto un’azione su una serie di dati che gli sono stati consegnati. La macchina, grazie a un opportuno programma, manipola le parole ma non ne comprende assolutamente il senso. La finalità di Searle era chiara: senza comprensione del significato del linguaggio una macchina non potrà mai essere definita intelligente. Quindi in un’ipotetica disputa tra forte e debole, qual è l’Intelligenza vincente? Le moderne teorie hanno superato questa contrapposizione offrendo una nuova risposta a tale domanda. Una macchina potrà essere definita intelligente solo quando potrà riprodurre il funzionamento del cervello a livello cellulare.
L’Intelligenza Artificiale oggi
Molto spesso, quando ci si addentra nei meandri profondi dei dibattiti filosofici e scientifici su questo argomento, si rischia di perdersi in un oceano sconfinato di nozioni alienanti. Per comprendere realmente il concetto di Intelligenza Artificiale occorre guardare con occhio curioso la realtà, per comprendere dove viene applicata con successo. Un esempio su tutti: Google. Quante volte ci capita di digitare in modo errato delle parole sul motore di ricerca? Nonostante questo, Google comprende, interpreta la richiesta dell’utente, fornendogli esattamente la query cercata. La macchina “cerca di capire” il linguaggio naturale dell’utente. Questo è il risultato dell’introduzione del RankBrain, ovvero un sistema di algoritmi formulati per cercare di comprendere le richieste dell’utente. Google non è nuova all’impiego dell’Intelligenza artificiale, utilizzata anche per catalogare all’interno della Gmail la posta ritenuta spam oppure per fornire delle traduzioni che non siano soltanto automatiche ma che cerchino di interpretare il contesto.
E cosa dire dei suggerimenti relativi ai propri interessi forniti da Facebook? La società di Mark Zuckerberg sfrutta gli algoritmi per cercare di elaborare i dati forniti dalle nostre ricerche e offrirci un ampio ventaglio di notizie e spunti che possono suscitare la nostra attenzione.
L’Intelligenza Artificiale si pone sia grandi obiettivi come la realizzazione di robot simili agli uomini, sia compiti estremamente più pratici. Nel corso degli anni sono state raggiunte mete impensabili nei primissimi anni ’70, quali il riconoscimento del parlato e dei caratteri con cui si scrive. L’Intelligenza Artificiale, oggi, consente di produrre automobili dotate di sensori per il parcheggio o automobili che, in determinati contesti, non prevedono nessun intervento umano. I sistemi di profilazione sono un altro grande traguardo. Attraverso l’applicazione degli algoritmi, Internet sa elaborare e fornirci un modello in grado di suggerirci, in base ai nostri interessi, la musica da ascoltare, i libri da acquistare e così via. L’Intelligenza Artificiale consente anche di prevedere quali saranno i futuri consumi di energia elettrica di un utente o addirittura, tramite un sistema dedicato, offre l’opportunità di comprendere se ci si trova di fronte a una mentalità criminale. Dagli albori ad oggi, l’AI è scesa nel quotidiano e ha trovato applicazione in luoghi prima impensabili.
Louis Dal Monte, autore di “The Artificial Intelligence Revolution“, ipotizza che nel 2040 saremo in preda di macchine artificiali la cui intelligenza sorpasserà di gran lunga quella umana. Uno scenario alla Blade Runner, forse eccessivamente allarmista, che parte da un dato evidente fin dai nostri giorni. Non stupisce più nessuno l’inserimento di parti artificiali all’interno dell’organismo umano. Protesi di ultima generazione riescono ad aiutare l’uomo a vivere meglio ma contemporaneamente rendono il suo “funzionamento” simile a quello di un cyborg. Non solo, basta dare un’occhiata ai semplici supermercati dove i cassieri sono spesso sostituiti da macchine in grado di svolgere i loro stessi compiti. Automazione ovunque, spesso in sostituzione di figure umane.
La coscienza del robot
Nel 2005, all’Università Bocconi, è stato presentato ASIMO, un robot in grado di svolgere numerose funzioni. È arcaico e ancestrale il bisogno umano di poter fare affidamento su macchine che possano portare a termine con successo i compiti assegnati. Ma il robot potrà mai essere dotato di coscienza? Questo è forse uno dei limiti invalicabili dell’Intelligenza Artificiale. Il senso comune, ovvero quella caratteristica che distingue il cyborg dall’essere umano, è una prerogativa che appartiene ai robot soltanto nel mondo della letteratura. Asimov ipotizza nei suoi romanzi non più la presenza inquietante della creatura che si ribella al suo ideatore, quanto piuttosto una società dove l’uomo non può essere danneggiato in alcun modo dal robot, grazie anche alla formulazione delle tre leggi della robotica. Un semplice espediente letterario, difficilmente applicabile nella realtà.
I limiti dell’Intelligenza Artificiale forte
In conclusione, si può ragionevolmente affermare che il lato forte dell’Intelligenza Artificiale sia difficilmente applicabile, se non in ambito letterario. Siamo però all’alba di una nuova epoca, sulle soglie di un futuro dove qualsiasi funzione andrà ripensata e riformulata sulla base dell’automazione. Scenari preoccupanti? Senza dubbio, come qualsiasi innovazione forte e rivoluzionaria. La chiave di soluzione del problema sarà quella di mantenere un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’Intelligenza Artificiale. Un mix tra timore e desiderio di semplificare la vita quotidiana attraverso una sua costante applicazione. Un sottile filo di lana che dovrà portare l’uomo a creare un connubio, forte più che mai, tra etica e scienza.